Un algoritmo made in Italy guiderà la scelta delle cure per l’acromegalia

È italiano l’algoritmo di cura che permetterà agli endocrinologi di tutto il mondo di gestire al meglio le persone affette da acromegalia, una malattia rara che in Italia fa registrare circa 250 nuove diagnosi l’anno. Finora prima di arrivare alla cura adeguata i clinici dovevano procedere per tentativi, provando varie tipologie di trattamento.  Ora grazie allo strumento messo a punto da medici e chirurghi della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs di Roma sarà possibile “orientarsi subito verso la terapia più adatta per ciascun paziente”.

Lo precisa Sabrina Chiloiro che con il suo team ha firmato l’articolo che descrive l’algoritmo made in Italy, pubblicato su Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism, rivista della Endocrine Society americana. Il lavoro rappresenta il primo risultato di un progetto con cui Chiloiro ha vinto nel 2021 l’Arrigo Recordati Research Grant.

Che cosa è l’acromegalia

In Europa colpisce 1,2 persone su 10mila ed è dovuta a un’eccessiva produzione da parte di un tumore ipofisario di origine neuroendocrina dell’ormone della crescita (Gh) e alla conseguente elevata sintesi e secrezione epatica del fattore di crescita Igf-I. Il trattamento prevede come primo approccio l’intervento chirurgico, eventualmente seguito da una terapia medica con analoghi convenzionali della somatostatina. Qualora il paziente non rispondesse a questi farmaci di prima linea si ricorre a una terapia di seconda linea con analoghi della somatostatina di seconda generazione o con l’antagonista recettoriale del Gh. L’algoritmo italiano permette di orientare il trattamento post-chirurgia.

L’algoritmo italiano

Lo studio pubblicato su Jcem ha coinvolto 67 pazienti con acromegalia, tutti sottoposti a intervento neurochirurgico e seguiti dagli endocrinologi del Gemelli presso l’Ambulatorio di patologia ipotalamo-ipofisaria in un’ottica multidisciplinare.

“Abbiamo integrato tutti i fattori predittivi finora noti di risposta e di resistenza alla terapia con analoghi convenzionali della somatostatina e i più innovativi biomarker del microambiente tumorale, quali il profilo dell’infiltrato infiammatorio”, illustra Chiloiro, ricercatrice in endocrinologia all’università Cattolica, campus di Roma e dirigente medico del Gemelli presso l’Uoc di Endocrinologia e Diabetologia. “In questo modo – prosegue – abbiamo costruito un modello matematico e un algoritmo basato su parametri clinici, biochimici, molecolari e morfologici”.

Come funziona l’algoritmo

Chiloiro aggiunge che grazie al nomogramma derivante dal modello matematico è possibile identificare la probabilità per ciascun singolo paziente di ottenere una buona risposta alla terapia con analoghi convenzionali della somatostatina integrando i tre fattori di resistenza identificati: l’elevato rapporto delle cellule immunitarie Cd68+/Cd8+, l’assente o scarsa espressione del sottotipo 2A del recettore della somatostatina e la presenza di un residuo tumorale post-operatorio macroscopicamente evidente.

Il miglior approccio terapeutico

“Tramite questo strumento i pazienti a rischio di mancata risposta alla terapia di prima linea potranno essere indirizzati precocemente ad una terapia di seconda linea, riducendo la durata di malattia non controllata, caratterizzata da elevati livelli plasmatici di Gh e Igf-I” continua l’esperta. “L’utilità di questo studio deriva anche dal fatto che tutti i parametri di resistenza che abbiamo individuato sono facilmente acquisibili nel post-operatorio e questo ci permette di definire rapidamente il miglior approccio terapeutico per il nostro paziente, riducendo così la durata di malattia attiva”.

Un fattore di rischio importante

Un aspetto importante considerando che nel paziente acromegalico la prolungata durata di malattia attiva è un fattore di rischio per la comparsa di comorbilità e complicanze sistemiche metaboliche (circa il 65% dei pazienti acromegalici è affetto da prediabete o diabete), cardiovascolari, muscolo-scheletriche con aumentato rischio di fratture vertebrali da fragilità e oncologiche.

Precisa Chiloiro: “I pazienti con malattia acromegalica persistentemente attiva hanno un aumentato rischio di tumore della tiroide, della prostata, della mammella e di lesioni pre-cancerose, come polipi del colon. Dunque ridurre la durata di malattia attiva, passando subito a una terapia efficace, migliora l’outcome di questi pazienti e riduce il rischio di complicanze”.

I segni della malattia rara

L’acromegalia, secondo quanto riportano gli esperti del Gemelli, ha ancora un ritardo diagnostico stimato tra 5 e i 10 anni, nonostante la si “legga in faccia” ai pazienti che presentano alterazioni caratteristiche: il naso si fa via via più largo, compaiono spazi (diastasi) tra i denti incisivi anteriori, il prognatismo (mento sporgente) diventa sempre più marcato. I pazienti raccontano inoltre che hanno dovuto far allargare gli anelli e comprare scarpe di 2-4 numeri più grandi del solito.

Diffondere conoscenza

Sono segni tipici che vengono però spesso sottostimati. Perciò è importante diffondere la conoscenza di questa patologia anche tra i medici del territorio, i fisiatri, gli odontoiatri e tra tutti gli specialisti che potrebbero incontrarli. Con questo obiettivo, la prossima primavera gli endocrinologi del Gemelli organizzeranno un corso sulla diagnosi di queste malattie ipofisarie rare (ipopituitarismo, acromegalia, malattia di Cushing), indirizzato ai medici del territorio.