Distrofia di Duchenne: una comunità che cura

Riproponiamo oggi 29 febbraio, giornata mondiale delle malattie rare, questo articolo su una delle più gravi tra queste e ancora senza cura e sull’esperienza dell’associazione Parent Project Aps. Ma la speranza c’è; e proprio in occasione di questa giornata è stato lanciato al presidente Mattarella un appello affinché solleciti l’Agenzia Europea del Farmaco a rivedere la sua decisione di revoca alla commercializzazione dell’unico farmaco oggi disponibile.

La storia di Ezio Magnano è la storia di un genitore che durante un controllo di routine per suo figlio riceve una diagnosi di malattia rara: la distrofia muscolare di Duchenne (o DMD), caratterizzata da una degenerazione progressiva dei muscoli fino alla completa immobilità e un’aspettativa di vita di tre decenni.

Ezio ricorda ancora l’incredulità, lo sconforto e la necessità di saperne subito di più. Ricorda le ricerche online, quando internet non era quello di oggi, e il sentimento di solitudine che l’ha spinto a mettersi in viaggio per partecipare a una delle prime conferenze sull’argomento.

Ricorda il bisogno di parlare con i clinici, ma ancora più forte quello di confrontarsi con altri genitori che come lui si trovavano ad affrontare, nella quotidianità di tutti i giorni, quello che significa rimettere in discussione tutto e costruire da capo un nuovo progetto di vita.

Oggi Ezio Magnano è il presidente di Parent Project Aps (l’organizzazione di pazienti e genitori di figli con questa malattia) e apre a Roma la XXI Conferenza Internazionale sulla distrofia muscolare di Duchenne e Becker (DMD, BMD) raccontando in prima persona quanto sia stato importante per lui entrare in contatto con altre famiglie. Quanto l’aver respirato, anche con una certa iniziale incredulità, la serenità che altri genitori avevano raggiunto lo abbia aiutato a continuare a vivere.

Spiega: «C’è la Duchenne, ma c’è anche la vita, e se vive bene la famiglia, vivono bene i ragazzi. Da Parent ho ricevuto la speranza». Parole che traducono le emozioni di molti genitori che lo ascoltano, e hanno il potere di smuovere gli animi di tutti i partecipanti, contagiati dalla voglia di essere di supporto e contribuire secondo le proprie possibilità e competenze.

Durante la conferenza sono state numerose le occasioni di aggiornamento e confronto, con sessioni scientifiche sullo stato della ricerca e tavole rotonde su argomenti di taglio psicosociale. Dagli ausili scolastici alla gestione delle emergenze, dagli aspetti cognitivi all’affettività e sessualità.

La conferenza abbraccia a tutto tondo il percorso di vita sia delle persone con DMD e BMD che delle loro famiglie, così come degli amici e dei professionisti che li affiancano. La complessità della patologia richiede infatti un approccio multidisciplinare e una rete sociale forte. Se la diagnosi di malattia rara rappresenta un evento traumatico, sentirsi parte di un sistema più grande può aiutare ad affrontare il sentimento di solitudine e impotenza.

Durante la conferenza è stata data la parola proprio ai ragazzi e alle famiglie, cosicché, esperti tra gli esperti, potessero portare il loro punto di vista e condividere la loro esperienza. Testimoniare il loro vissuto, mettendo su carta e condividendo la loro storia, è stato un gesto generoso e prezioso per tutti coloro che hanno avuto l’occasione di ascoltare.

Si è parlato di rabbia, del desiderio di autonomia, di consapevolezza, del diritto di essere visti e considerati. Dei fratelli e delle sorelle, i cosiddetti siblings, del ruolo delicato che spesso sono chiamati a ricoprire e del maggiore spazio di cui avrebbero bisogno. Della fase dolorosa “perché proprio a me?”, e dell’orgoglio “per la persona che sono” che è venuto dopo.

Lo slogan scelto per questa conferenza, Ogni cosa conta. Siamo tutti parte di un’unica armonia, racconta tutto questo: la parte che ognuno di noi può fare. Perché le famiglie e i professionisti per sostenere hanno bisogno di essere sostenuti. Di trovare nel loro percorso qualcuno che stia al loro fianco, che faccia sue le battaglie da affrontare.

Perché la salute è anche non sentirsi soli, è essere comunità. Per fare questo è importante rendere accessibile a tutte e tutti la partecipazione alla vita sociale, abbattendo le barriere architettoniche e i tabù sulla disabilità. Aumentare le occasioni di socializzazione per aprirsi a nuovi incontri che potrebbero cambiare la prospettiva sulla vita.

C’è tanta strada da fare, ma dagli anni ’90 ad oggi la scienza è andata avanti e l’aspettativa di vita è raddoppiata. Ancora non basta. È necessario continuare a supportare la ricerca e la presenza dei centri d’ascolto (CAD) sul territorio. Per farlo Parent Project Aps ha lanciato la campagna “CAD anch’io”, affinché ognuno possa diventare parte di una comunità che cura.