Piano Nazionale Malattie Rare 2023-2026, ecco i 9 punti fondamentali

Diagnosi, prevenzione primaria, presa in carico, percorsi assistenziali, formazione e informazione. Ma anche registri e sistemi di monitoraggio e ricerca scientifica

La struttura del Piano Nazionale delle Malattie Rare 2023-2026 poggia su 9 pilastri fondamentali: prevenzione primaria, diagnosi, trattamenti farmacologici e non farmacologici, percorsi assistenziali, formazione e informazione, Registri e sistemi di monitoraggio della Rete Nazionale delle Malattie Rare e, ultima ma non per importanza, la ricerca scientifica. “Non c’è dubbio che i capitoli della prevenzione e della diagnosi occupino un ruolo centrale – spiega il Prof. Bruno Dallapiccola, Professore Ordinario di Genetica Medica nonché Direttore Scientifico Emerito dell’IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e Coordinatore di Orphanet Italia – ma grandi cambiamenti sono in atto anche nelle aree dei trattamenti i quali devono essere resi disponibili in maniera semplificata e omogenea su tutto il territorio nazionale. Bisogna fare in modo di facilitare la rimborsabilità non solo dei farmaci ancora a carico del cittadino, ma anche dei presìdi medici e degli ausili che rientrano nelle terapie non farmacologiche. Tutto ciò deve essere integrato nei percorsi assistenziali individualizzati attraverso i quali le misure di assistenza ordinarie e straordinarie arrivano al domicilio del paziente, contribuendo ad aumentarne la qualità di vita.”

Il tema dell’informazione suscita, a mio avviso, minore preoccupazione – prosegue l’esperto – dal momento che nel nostro Paese sono disponibili vari strumenti, quali il portale inter-istituzionale del Ministero della Salute, diverse helpline dedicate e il database Orphanet che ogni anno ha 2 milioni di utenti attraverso l’interfaccia italiana e complessivamente 20 milioni dal resto del mondo. Un netto progresso lo si è avuto anche nel campo della formazione: ad esempio, lo scorso anno sono stati realizzati 74 corsi di Formazione a Distanza (FAD) sul tema delle malattie rare. Da ultimo, il capitolo della ricerca che, pur avendo già raggiunto livelli soddisfacenti, ha bisogno di investimenti dedicati e trasversali, rivolti a tutti i bisogni dei malati rari. Lo scorso anno in Europa sono stati realizzati poco più di 11.000 progetti di ricerca, che hanno riguardato oltre 4.000 malattie rare: in circa il 10% di essi erano protagonisti i ricercatori italiani. Il nostro Paese è quarto – dopo gli USA, la Francia e il Canada – per numero di sperimentazioni cliniche che, in oltre un terzo dei casi, si rivolgono alle malattie rare. I nuovi investimenti sono destinati alla promozione di progetti dedicati alla ricerca di soluzioni per i molti bisogni non ancora soddisfatti di questi pazienti. Il Piano Nazionale delle Malattie Rare centra in maniera chiara gli obiettivi da perseguire nel prossimo triennio, ben in linea con quelli che si stanno perseguendo a livello internazionale. È però necessario vigilare affinché i contenuti dei 9 pilastri del Piano siano realizzati nei tempi previsti. Non è sufficiente redigere documenti: le indicazioni del Piano devono essere tradotte in azioni concrete e, in questo senso, ritengo che al Comitato Nazionale delle Malattie Rare competa la responsabilità di servire da organo di indirizzo e vigilanza.”

La diagnosi è un argomento che sta molto a cuore ai malati rari. Qual è il contribuito delle nuove tecniche di sequenziamento del genoma? Cosa ci si può aspettare per il futuro e quali sono, invece, gli obiettivi da perseguire nel presente?

“Circa otto malattie rare su dieci hanno un’origine genetica, perciò è scontato che le tecniche di sequenziamento di nuova generazione, sviluppate nel contesto della rivoluzione genomica, ricoprano un ruolo di rilievo nell’ambito delle malattie rare. Il Consiglio Superiore di Sanità, a partire dal 2016, ha redatto tre documenti basilari su questo tema. In particolare, quella relativo all’Impatto socio-economico sul sistema sanitario delle tecniche di sequenziamento di seconda generazione (NGS) nell’inquadramento dei pazienti senza diagnosi ha ribadito il vantaggio economico derivante dall’adozione delle tecniche NGS – in modo particolare il sequenziamento dell’esoma (WES) – sollecitandone l’utilizzo su scala nazionale. Di fatto, un malato senza diagnosi, che continui a vagare da un laboratorio all’altro alla ricerca di risposte ai suoi problemi di salute non costituisce solo una sconfitta sul piano umano ed etico ma rappresenta anche un costo, stimato in circa 2.000 euro all’anno, per il Servizio Sanitario che oggi dispone di mezzi in grado di dare risposte affidabili al costo, valutato in poco più di 1.000 euro, per il sequenziamento dell’esoma di un trio (paziente e genitori) di persone.

“È il momento migliore per puntare su strumenti che portino alla diagnosi e alla presa in carico di un malato raro entro l’arco temporale massimo di un anno dal momento in cui giunge all’osservazione del medico – spiega ancora Dallapiccola – così come raccomandato dal Consorzio Internazionale per la Ricerca sulle Malattie Rare (IRDiRC). Si tratta di una raccomandazione in linea con quella di “Rare 2030”, il progetto europeo di EURORDIS che guarda al futuro delle malattie rare, per le quali è stato previsto un ulteriore accorciamento dei tempi della diagnosi e della presa in carico a soli 6 mesi. È chiaro che una significativa accelerazione del processo diagnostico può avvenire solo ricorrendo a strumenti innovativi, come la tecnologia NGS, sviluppata dalla ricerca nell’ambito del progetto di sequenziamento del genoma umano.”

La diagnosi precoce delle malattie rare è un obiettivo strategico, come dimostra l’implementazione dello screening allargato.

“In questo contesto appaiono particolarmente stimolanti e promettenti i primi risultati che emergono da alcuni progetti di screening genomico neonatale. In particolare due studi, uno americano e uno cinese, suggeriscono come una significativa percentuale dei neonati presenti variazioni geniche che causano malattie rare e giustificano una presa in carico presintomatica, attraverso il cambiamento degli stili di via, o il monitoraggio o l’impiego di farmaci in grado di modificare la storia naturale di quelle malattie. Nel prossimo futuro, quando saranno superati i limiti di ordine tecnico, etico, legislativo, psico-sociale, economico e di sicurezza – che al momento non consento il trasferimento nella pratica clinica di questo tipo di indagini – lo screening neonatale del genoma produrrà un impatto enorme sulla gestione delle malattie rare. Nel frattempo, è necessario che l’NGS sia reso fruibile per finalità diagnostiche, in maniera omogenea in tutte le Regioni, attraverso il suo inserimento nei LEA. Un passo importante in questa direzione sarà la creazione, all’interno del Piano Nazionale di Genomica, di una rete di laboratori di genetica, omogeneamente distribuiti sul territorio, in grado di raccogliere e processare i campioni ed elaborare risposte in tempi stretti. L’analisi del genoma, oltre che al settore delle malattie rare, ha indicazioni critiche nell’inquadramento e nella stratificazione dei pazienti oncologici nonché nella caratterizzazione e classificazione delle malattie infettive. Ecco dunque che queste tecniche di sequenziamento di ultima sono uscite dai laboratori di ricerca e hanno trovato una crescente implementazione nelle attività cliniche, secondo la logica che il genoma rappresenti una sorta di cartella clinica nella quale è scritta una parte significativa del futuro biologico individuale in termini di salute e malattia. L’accesso alle analisi genomiche, oltre a rappresentare una questione di civiltà rappresenta perciò un’opportunità di modernizzazione del SSN, a forte impatto economico.”