Sindrome di Ondine: quando dormire diventa un incubo

In Italia 80 pazienti. La gestione della patologia è migliorata molto, ma rimane costante il grande impegno richiesto ai genitori per vigilare il sonno dei figli

L’opera teatrale “Ondine”, scritta da Jean Giraudoux nel 1939, è un dramma in tre atti con protagonista una ninfa delle acque, presente da secoli nelle leggende del folklore europeo. Una vicenda romantica ma anche complessa e piena di imprevisti, proprio come può essere la vita delle persone affette dalla patologia che prende il nome da quello della creatura fatata. La sindrome di Ondine, infatti, è una malattia rara che colpisce prevalentemente i neonati, una grave forma di apnea del sonno che può mettere a rischio la loro vita.

In Italia sono circa 80 i pazienti con questa condizione, diagnosticata per la prima volta negli anni ’70. Il nome scientifico della patologia è sindrome da ipoventilazione centrale congenita: a spiegare il perché è la dr.ssa Maria Giovanna Paglietti, responsabile dell’Unità Operativa Semplice di Terapia Semintensiva Respiratoria dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.

“Il paziente ha una respirazione inefficace a determinare un adeguato scambio gassoso (ipoventilazione), la cui origine è nell’errato funzionamento del sistema nervoso autonomo (centrale), causata da un’alterazione genetica (congenita). La prevalenza stimata è di un caso su 200.000 nati vivi, ma in realtà i dati epidemiologici sono scarsi e poco attendibili: in primo luogo perché è possibile che alcune morti perinatali o nel lattante siano causate da questa patologia, ma anche perché esistono casi misconosciuti in pazienti adulti con manifestazioni cliniche lievi, identificati solo dopo la diagnosi nei figli”.

La malattia è causata da una mutazione del gene PHOX2B, situato nel cromosoma 4, e si manifesta abitualmente nei primi giorni di vita con crisi di apnea, episodi di cianosi, talvolta crisi convulsive: questi bambini possono manifestare sonnolenza, astenia, cefalea e, nel tempo, ipertensione polmonare.

“La disfunzione non interessa solo il centro del respiro, perché PHOX2B codifica per un fattore di trascrizione noto per svolgere un ruolo chiave nello sviluppo embriologico precoce del sistema nervoso autonomo, compresi i rami simpatico, parasimpatico ed enterico: pertanto, circa il 20% dei pazienti può avere un megacolon congenito, o malattia di Hirschsprunge il 5% circa tumori delle creste neurali, in particolare il neuroblastoma. Altre complicanze possono includere problemi oftalmologici, epilessia, alterazioni della termoregolazione, disturbi del ritmo cardiaco, alterazioni dell’omeostasi glicemica, ritardo dello sviluppo, difficoltà di apprendimento, spasmi affettivi e lipotimie”, prosegue la dr.ssa Paglietti, membro del comitato scientifico dell’associazione AISICC, che dal 2003 assiste i pazienti affetti dalla sindrome.

Sono i sintomi clinici quelli che inducono a sospettare la diagnosi di ipoventilazione centrale congenita, ma è solo l’esame genetico che conferma l’eziologia, ovvero la presenza di una mutazione del gene PHOX2B. “Le mutazioni possono essere di tipo differente: circa il 90% degli individui affetti da sindrome di Ondine sarà eterozigote per una mutazione di espansione ripetuta della polialanina (PARM) nel terzo dei tre esoni PHOX2B; il restante 10% ha delle mutazioni frameshift, non-senso e missenso del gene NPARMConoscere il tipo di mutazione è estremamente importante perché è nota una stretta associazione fra il genotipo e il fenotipo, cioè la manifestazione clinica della patologia. Gli individui con NPARM e quelli con espansioni più lunghe PARM generalmente hanno fenotipi più gravi, con maggiore necessità di ventilazione artificiale, aumento del numero di sintomi del sistema nervoso autonomo e di organi colpiti, maggiore incidenza di tumori della cresta neurale e malattia di Hirschsprung”, sottolinea l’esperta del Bambino Gesù.

I pazienti con sindrome di Ondine hanno necessità di un presidio medico che stimoli la ventilazione durante il sonno; infatti, per l’assente stimolo centrale, non sono in grado di eliminare l’anidride carbonica e di avere adeguati livelli di ossigeno nel sangue. “La stragrande maggioranza dei pazienti utilizza un ventilatore meccanico durante il sonno, che supporta la respirazione secondo i parametri impostati dai medici curanti. Alcuni utilizzano il ventilatore con una maschera sul naso, effettuando la cosiddetta ventilazione non invasiva, altri invece vengono ventilati attraverso una tracheostomia. Un numero molto ristretto di pazienti, di solito quelli con una maggiore necessità di ore di ventilazione, utilizza un pacemaker diaframmatico, cioè un presidio impiantato che stimola il muscolo diaframma ad effettuare una contrazione, inducendo così l’atto respiratorio”.

Ma le difficoltà per i pazienti e per i loro familiari non finiscono qui: i bambini con ipoventilazione centrale congenita necessitano, oggi come in passato, di un supporto ventilatorio sicuramente nel sonno e, in casi fortunatamente più rari, anche durante la veglia. “In primo luogo, quindi, vi è la dipendenza da presidi medici, il ventilatore e il saturimetro, e la necessità di un rapporto con la ASL per la fornitura degli stessi e del materiale di consumo, con un “care provider” per la manutenzione degli apparecchi. I genitori, inoltre, devono imparare la gestione di questi presidi e osservare un’attenta sorveglianza dei loro figli, accumulando carenza di ore di sonno nel tempo. Nei pazienti con tracheostomia, i bisogni assistenziali e di device aumentano, così come la necessità formativa del caregiver. Per un’adeguata gestione della patologia, inoltre, sono previsti dei controlli di follow up presso il centro di riferimento, spesso situato fuori regione; fortunatamente, dopo i primi anni di vita, le visite di controllo si riducono ad una all’anno in condizioni di stabilità clinica”, conclude la dr.ssa Paglietti.

“La gestione dei bambini con ipoventilazione centrale congenita è molto cambiata nel tempo, grazie alle migliori conoscenze scientifiche e soprattutto dei presidi medici. Rimane però costante il grande impegno dei genitori nella vigilanza durante il sonno dei loro figli, specie durante i primi anni di vita, in cui dormono molte ore della loro giornata”.