Padova, diaframmi stampati in 3D per curare le malformazioni congenite

L’equipe di Martina Piccoli (Città della Speranza) al lavoro sulle «toppe» innovative per rendere l’intervento per l’ernia diaframmatica risolutivo

Sono ormai 8mila. E c’è chi, una volta scoperte, dedica la propria vita a cercare di migliorare quelle di chi ne è colpito: lunedì 28 febbraio, ricorre la Giornata mondiale delle malattie rare, giudicate tali quando i casi sono meno di 5 ogni 10mila persone. Tra queste c’è l’ernia diaframmatica, e tra le principali studiose (se non la principale) figura la dottoressa Martina Piccoli dell’Istituto di Ricerca Pediatrica della Città della Speranza di Padova.

Dottoressa Piccoli, in cosa consiste l’ernia diaframmatica?

«Si tratta di una malformazione congenita che colpisce un neonato ogni 4.500 in Italia. Riguarda l’incompleto sviluppo del muscolo diaframmatico, che separa la pancia dal torace e che ci permette di respirare: chi ne soffre nasce con un buco sul muscolo, che porta fegato e intestino e a volte anche la milza a infilarsi, risalendo nella cavità toracica e occupando lo spazio di cuore e polmoni, impedendone il completo sviluppo. La conseguenza? I bimbi non possono respirare in maniera autonoma, e quindi devono essere intubati e operati nei primissimi giorni di vita per riposizionare gli organi e chiudere il buco».

Che tecniche si utilizzano?

«Va considerato che in un neonato il muscolo diaframmatico ha un diametro di dieci centimetri. Se il buco è piccolo si prendono i due lembi e si “cuce”, altrimenti si usano delle toppe: hanno il vantaggio di essere sempre pronte e senza problematiche di rigetto, ma sono fatte di materiali plastici e sintetici come il Gore-Tex e quindi con la crescita la toppa si strappa. Nel 25% dei casi, dunque, nei primi tre anni di vita chi è colpito da ernia diaframmatica deve sottoporsi ad almeno due o tre interventi per sistemare la situazione, e ogni volta si rischiano infezioni od ostruzioni intestinali, con il rischio di peggiorare le condizioni. Inoltre intorno ai 13-15 anni, quando si compie lo sviluppo fisico, si possono verificare deformità della cassa toracica e scoliosi, creando conseguentemente un condizionamento psicologico».

Sono stati fatti passi avanti in tal senso?

«All’Istituto di ricerca pediatrica della Città della Speranza sto lavorando insieme alla mia équipe a una soluzione differente rispetto alle attuali toppe, in modo da compiere un unico intervento chirurgico risolutivo. E l’abbiamo trovata: stiamo perfezionando alla realizzazione di un diaframma stampato con appositi macchinari 3D che funga da “toppa biologica” fatta con le cellule staminali ricavate dal liquido amniotico della partoriente essendo l’ernia diaframmatica una malformazione congenita diagnosticabile prima della nascita».

Può spiegarci nel dettaglio in cosa consiste?

«Abbiamo pensato che per creare un’alternativa bisognasse partire dal diaframma stesso, ma c’è il problema della reperibilità vista la scarsità di donatori. Per questo motivo abbiamo preso tutti i diaframmi ricevuti e, una volta “lavati” eliminando le cellule al loro interno li abbiamo polverizzati creando una sorta di hydro-gel che poi viene utilizzato una stampante a tre dimensioni che crea così la struttura desiderata. A quel punto il diaframma viene montato su un bioreattore, una struttura inventata da noi che serve a dire alle cellule del paziente a cui è destinato dove andare e cosa devono fare, e una volta “maturato” si può utilizzare».

Ovvero può essere “cucito” nel corpo del neonato?

«In realtà stiamo cercando di capire se tale operazione si può compere anche prima della nascita: il professor Paolo De Coppi, chirurgo del Great Ormond Street Hospital di Londra (ma nato nel Trevigiano, ndr), ha già messo in atto una tecnica intrafetale con un palloncino che viene inserito nello stomaco il quale, allargandosi, copre almeno il buco nel diaframma così da non dover risistemare poi gli organi che, come detto, lo sfruttano per prendere ancor più spazio. Ecco, insieme alla sua équipe si sta pensando di utilizzare la stessa tecnica per immettere nel corpo del nascituro direttamente la nuova “toppa”, che a differenza di quelle attuali non avrà bisogno di essere poi cambiata».

Quanto bisognerà attendere per l’effettivo utilizzo?

«Non so dare una tempistica purtroppo: io sono una scienziata e mi occupo della parte pratica, ma poi c’è quella burocratica che è corposa. So solo che per farne uno ci vogliono quattro mesi, ma essendo l’ernia diaframmatica diagnosticabile pre-nascita può essere preparato in tempo, migliorando così la vita di chi soffre di questa malattia rara».