PNRR e malattie rare: serve investire sull’assistenza domiciliare e pensare ai malati rari

Roberta e Cecilia avrebbero bisogno di un infermiere a casa, ma non è disponibile. Fortunato Nicoletti (“Nessuno è escluso”): “In Lombardia l’ADI per i minori è ancora sperimentale”

Cecilia, 17 anni, viene dimessa dall’ospedale di venerdì con indicazioni chiare: le serve un infermiere che le faccia delle iniezioni a domicilio, ogni giorno per una settimana, ma nel weekend il servizio non si trova. Roberta, invece, è una bimba piccola, anche lei ha una malattia rara, ha delle disabilità gravi e richiede assistenza continua, eppure a gennaio le sono state tagliate 12 ore di assistenza a settimana. Il tutto avviene in Lombardia, in un Paese che sta aspettando l’arrivo dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), documento che parla di digitalizzazione per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e apre al paradigma ‘One Health’, che lega insieme la salute personale e il benessere sociale.

Nell’ambito della Missione 6 del PNRR, riguardante la salute, gli investimenti sono di oltre 15 miliardi di euro. Una cifra che, estrapolata dal contesto, appare davvero consistente, da suddividere però secondo le due componenti: reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale; innovazione, ricerca e digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale.

È bene tenere presente che la spesa annuale per il SSN si aggira attorno ai 151 miliardi di euro, a cui si aggiungono circa 45 miliardi della spesa privata dei cittadini. A fronte dell’investimento previsto dal PNRR per la salute, un’enormità. Ci si aspetta dunque che per essere efficaci, i fondi vengano utilizzati in maniera oculata e precisa, in particolar modo per quegli aspetti del SSN che sono deficitari o da troppo tempo non vengono ritoccati.

La meta verso cui vira questo Piano Nazionale è dunque quella di un Servizio Sanitario fortemente digitalizzato e che possa mettere in stretta relazione diverse discipline e professionisti, ambienti, istituzioni e mezzi di comunicazione per favorire l’assistenza e la cura delle singole persone. Ad oggi, tuttavia, le criticità non mancano, soprattutto nella disparità di erogazione dei servizi territoriali, nelle forme della prevenzione e dell’assistenza. Due testimonianze ci giungono dalla regione Lombardia, nel milanese, in cui l’ADI (Assistenza Domiciliare Integrata) si mostra non sempre sufficiente nel sopperire alle necessità dei cittadini.

LOMBARDIA, LE LACUNE DELL’ADI VERSO LE MALATTIE RARE

L’esperienza di Federica Muller e della figlia, Cecilia, mostra quanto lacunoso e carente sia il supporto dell’Assistenza Domiciliare Integrata in Lombardia. Cecilia, ragazza di 17 anni affetta da atrofia muscolare spinale (SMA), avrebbe avuto bisogno nel fine settimana di un infermiere a domicilio. Ricoverata venerdì 28 gennaio in day hospital all’ospedale Del Ponte di Varese per un’infezione, viene dimessa e, in accordo con i medici, le viene prescritta la somministrazione di un antibiotico per via intramuscolare fino a lunedì. Federica, quindi, avvisa l’ADI richiedendo la presenza di un infermiere, ma la risposta non arriva. O meglio, la goffa macchina burocratica prende il sopravvento: l’operatore di servizio le risponde dapprima che la somministrazione dei farmaci non è di competenza degli infermieri; in seconda battuta, che manca un’autorizzazione dell’ADI di Sesto Calende per l’uscita del personale. L’ufficio incaricato chiude il venerdì alle 13.00, fino al lunedì. Irraggiungibile nel weekend. L’aspetto curioso della vicenda è che Federica aveva inoltrato la richiesta per l’assistenza domiciliare integrata complessa il 28 novembre.

Il problema dell’irreperibilità del personale infermieristico tocca da vicino anche Fortunato Nicoletti, padre della piccola Roberta, di 5 anni, e vicepresidente dell’organizzazione di volontariato “Nessuno è escluso”. A gennaio, l’ATS ha ridimensionato il monte ore per l’assistenza di Roberta da 34 a 22 ore settimanali, con 12 ore in meno che gravano pesantemente sulla sicurezza della bambina e la serenità della famiglia.

Il vicepresidente Nicoletti, intervistato da OMaR, lancia ottimi spunti di riflessione: “I fondi del PNRR, a oggi, sono semplicemente un numero, magari anche consistente, ma quasi inutile se a questi fondi non segue una totale ristrutturazione del sistema che non riguardi solo le persone anziane ma anche i soggetti con malattie rare o disabilità gravi che sono giovani e bambini e che, purtroppo, in varie parti del documento, così come nelle discussioni istituzionali, non vengono menzionati”.

Scendendo in profondità sulla questione dell’ADI, Nicoletti precisa che “tale servizio, che per esempio in Lombardia, dal 2010, è ancora sperimentale per ciò che riguarda i minori, è tuttora pensato e strutturato come fosse un vestito adatto per tutte le taglie e non come un abito sartoriale unico per ogni soggetto”, come se il sistema volesse appiattire le esperienze personali, dando un’unica risposta a problemi che, invece, sono molteplici e variegati.

Nicoletti sottolinea anche che gli investimenti della Lombardia per l’ADI sono la metà di quelli dell’Emilia Romagna (2018), un dato non certo confortante, giacché la situazione di emergenza data dalla pandemia ha accentuato maggiormente i problemi e le necessità delle persone, in particolar modo di quelle famiglie in cui vive un soggetto fragile e che “si ritrovano da un giorno all’altro a dover gestire un carico assistenziale che nel medio periodo porta ad un burn out pericolosissimo”.