Linfomi: sapere cosa sono per affrontarli nel migliore dei modi

Oggi la Giornata Mondiale sulla Consapevolezza del Linfoma: Prof. Ferreri (FIL): “Importante non trascurare i campanelli d’allarme della malattia”

Anche i linfociti – le preziose sentinelle che vigilano sull’organismo e ci proteggono dall’attacco di virus e batteri – possono ammalarsi e quando succede si parla di linfoma, un tumore ematologico che interessa tutti i linfociti, sia quelli circolanti nel sangue, sia quelli presenti nei linfonodi, ma in tutti gli organi in generale. Tuttavia, il termine “linfoma” non si circoscrive a una singola malattia ma a un gruppo molto ampio che comprende i linfomi di Hodgkin e quelli non-Hodgkin (etichetta sotto cui si collocano realtà patologiche molto differenti). Perciò la Giornata Mondiale sulla consapevolezza del Linfoma che ricorre oggi 15 settembre, rappresenta un’occasione per fare il punto sulle nuove possibilità terapeutiche sfornate dalla ricerca scientifica e per ribadire l’importanza di una diagnosi precoce, che esige consapevolezza dei principali campanelli di allarme della malattia.

I linfomi sono tra i tumori più frequenti e comprendono un alto numero di sottotipi, ognuno dei quali rappresenta un’entità clinica e biologica ben distinta dalle altre. I linfomi di Hodgkin – che prendono il nome dal medico che per primo li descrisse nel 1832 – hanno un’incidenza variabile nei vari Paesi del mondo ma che si attesta su circa 3-4 casi ogni 100 mila abitanti. I linfomi non-Hodgkin, invece, sono molti più diffusi, arrivando a rappresentare circa il 5% di tutte le neoplasie maligne (secondo dati AIRTUM) in Italia sono quasi 15 mila le nuove diagnosi ogni anno e circa 160 mila le persone che convivono con questo tumore). Tra i linfomi non-Hodgkin il sottotipo più frequente è il linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) per cui, negli scorsi anni, la ricerca medica ha compiuto enormi balzi avanti.

DALLA RICERCA SCIENTIFICA SOLIDE OPPORTUNITÀ DI CURA PER I LINFOMI

“Attualmente si conoscono circa un centinaio di linfomi, ognuno con differenti e precise caratteristiche biologiche, istologiche e cliniche”, spiega il prof. Andrés J. M. Ferreri, Direttore dell’Unità Linfomi presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e presidente della Fondazione Italiana Linfomi (FIL). “Ciò condiziona la prognosi, rendendo determinante la fase iniziale di stadiazione della malattia. Nel caso del DLBCL, il decennio scorso è stato un periodo molto florido, durante il quale sono state perfezionate diverse tipologie di trattamento, dalle terapie cellulari, a quelle immunologiche, cioè basate sull’utilizzo di anticorpi monoclonali specifici. Grazie ad esse sono stati raggiunti importanti traguardi di guarigione, con bassi tassi di tossicità. In particolare, l’ottimo profilo di sicurezza ci ha consentito di estendere tali trattamenti ai pazienti più anziani e fragili per i quali la chemioterapia non sempre risulta applicabile”.

Per i linfomi ad alta malignità – fra cui il DLBCL, il linfoma di Hodgkin, i linfomi linfoblastici o il linfoma di Burkitt – la chemioterapia sistemica con varie associazioni di farmaci (le cosiddette CHOP, ABVD, e tante altre sigle, dalle iniziali dei singoli farmaci usati) rimane il punto fermo del percorso di trattamento ma, grazie all’evoluzione scientifica e tecnologica, nuove terapie stanno arricchendo l’armamentario terapeutico. Fra di esse vi sono gli anticorpi bi-specifici che si legano da una parte alla cellula tumorale e dall’altra a un componente del sistema immunitario del paziente (i linfociti T) generando una risposta verso il tumore da parte dello stesso sistema immunitario del paziente.

La più nota immunoterapia è quella a base di cellule CAR-T”, aggiunge Ferreri. “Essa consiste nel prelievo dei linfociti T del paziente che vengono ingegnerizzati per esprimere sulla loro superficie l’antigene sintetico CAR (sigla inglese per “Chimeric Antigen Receptor”) in grado di riconoscere una specifica molecola sulle cellule tumorali. A questo punto i linfociti T vengono reinfusi nel paziente consentendo al suo stesso sistema immunitario di riconoscere le cellule tumorali e aggredirle. Questa strategia è usata anche contro certe leucemie, mieloma multiplo e, negli ultimi anni, in via sperimentale contro i tumori solidi”.

Il rapido e deciso sviluppo tecnologico ha scoperto un ruolo di primo piano non solo per una maggiore immediatezza nella messa a punto di innovative soluzioni terapeutiche, ma anche per conoscere meglio i linfomi, soprattutto le forme più rare per le quali i progressi terapeutici sono ancora limitati. “Attualmente disponiamo di metodi per lo studio dei linfomi a livello molecolare, genetico e cellulare, tanto da esser in grado di studiare la singola cellula tumorale per vedere quali siano i suoi punti deboli e di forza e poter così disegnare, contro di essa, strategie terapeutiche specifiche”, afferma Ferreri.

“Siamo sempre alla ricerca di nuovi bersagli da colpire con possibili trattamenti, specialmente per le forme più rare”. Infatti, la rarità di certi linfomi si associa alle difficoltà di reperire pazienti per gli studi clinici e alla necessità di trovare nuove metodiche per contrastare le cellule tumorali. “Mentre nel caso dei linfomi B abbiamo visto il successo delle terapie avanzate poc’anzi citate, nel caso dei linfomi a cellule T quelle stesse terapie, come gli anticorpi bi-specifici o le cellule CAR-T, hanno un’efficacia limitata dal momento che non sono in grado di distinguere tra i linfociti T malati e quelli sani; perciò si innesca una guerra fratricida con pesanti ripercussioni sull’organismo”, puntualizza l’esperto. “Ciò rende necessario proseguire intensamente nella ricerca, guardando agli elementi di certezza che permettono di sviluppare ulteriori nuove ed efficaci terapie”.

DIAGNOSI PRECOCI E RAPIDO ACCESSO ALLE CURE

Molte sono le persone che guariscono dai linfomi con le chemioterapie convenzionali e, negli anni a venire, saranno ancora di più a beneficiare delle terapie avanzate come le CAR-T, ma perché ciò accada occorre arrivare rapidamente a una conferma diagnostica.

L’inquadramento clinico del linfoma passa attraverso la richiesta di esami di laboratorio (come l’emocromo, la VES, il dosaggio dell’LDH, della beta-2 microglobulina e l’esecuzione dell’elettroforesi proteica) e strumentali (radiografia del torace, TAC torace e addome, risonanza magnetica e soprattutto agoaspirato midollare e biopsia) ma comincia sempre da una buona anamnesi. “Tra i primi sintomi che inducono il paziente a rivolgersi al medico c’è l’ingrossamento dei linfonodi a livello del collo, delle ascelle o dell’inguine”, spiega ancora Ferreri. “A questo possono esser associati sintomi sistemici, chiamati anche ‘sintomi B’, come la febbre di non nota spiegazione, la sudorazione notturna, il dimagrimento di oltre 10 kg in pochi mesi e, in taluni casi, il prurito. In presenza di tali ‘indicatori’ è opportuno che il medico di base suggerisca al suo assistito una visita onco-ematologica”.

La corretta interpretazione dei sintomi cosiddetti “B” (febbre, sudorazione, dimagrimento) è dunque demandata al medico di famiglia che può richiedere alcuni esami e capire se l’aumento dimensionale dei linfonodi – un sintomo peraltro comune e non specificamente associato al linfoma ma suscitato anche da banali episodi infiammatori o motivi infettivi – possa essere spia di un linfoma. “Serve lo sforzo di tutti per migliorare la cooperazione sul territorio giacché per le grosse strutture ospedaliere sarebbe impensabile farsi carico di tutte le persone col solo quesito diagnostico dell’ingrossamento dei linfonodi”, afferma Ferreri. “È, dunque, importante l’opera di sensibilizzazione sul linfoma e di aggiornamento dei medici di famiglia, in maniera tale che essi siano in grado di valutare al meglio quando si renda necessario un approfondimento con esami di tipo infettivologico o se, invece, sia il caso di indirizzare direttamente il malato presso un centro onco-ematologico specializzato”.

In nove casi su dieci, infatti, l’incremento di dimensione di un linfonodo può trovar ragione nelle conseguenze di piccole lesioni a livello di mani o piedi, nei graffi di un gatto o in un semplice mal di gola o mal di denti: il medico di base, raccomandando l’esecuzione di esami di approfondimento può distinguere i casi in cui sia sufficiente un trattamento con antibiotico da quelli in cui sia bene sentire il parere di uno specialista onco-ematologo.

“La Giornata Mondiale sulla consapevolezza del linfoma è un’occasione per tutti per mettere ben a fuoco anche i piccoli segnali della presenza di un linfoma”, conclude Ferreri. “In essa ribadiamo il ruolo del medico di base quale snodo fondamentale all’interno del processo diagnostico e terapeutico, il quale deve esser chiaro e ben organizzato in tutte le sue parti”.

L’obiettivo di oggi è anticipare il più possibile terapie avanzate basate sui principi dell’immunoterapia, ma perché ciò accada serve uno stretto coordinamento tra tutte le parti in causa e sono indispensabili percorsi diagnostico-terapeutico assistenziali chiari e funzionanti, tanto sulla carta che nella realtà ospedaliera di ogni giorno.

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