«Il buio e la luce»: la malattia rara di Alessia Bellino diventa uno sceneggiato. Set all’ospedale di Civile di Baggiorava a Modena

La giovane modenese nel 2015 fu ricoverata per 100 giorni a causa di una encefalite autoimmune: «Rivedermi è stato emozionante»

L’Ospedale Civile di Baggiovara (Modena) si è trasformato per un giorno nel set del cortometraggio “Il buio e la luce”, del regista Francesco Zarzana. Uno sceneggiato che parte dalla storia di Alessia Bellino, giovane modenese colpita nel 2015 da encefalite autoimmune e ricoverata nel reparto di neurologia per 100 giorni. All’epoca, di anni ne aveva 31 e a causa di quella malattia improvvisa rischiò la vita. La salvò l’equipe di neurologia di Baggiovara, che Alessia ha incontrato di nuovo, ma da dietro il ciak. Trentotto anni, Bellino lavora come responsabile per la comunicazione di una cooperativa sociale modenese. A parole, aveva già ricostruito la sua storia nel libro “Dalla corsia alla corsa”. Un testo che ora è diventato un cortometraggio (di Progettarte 2021) incentrato sul suo percorso di guarigione. Con un cast italo-francese in cui compaiono Manon Elezaar, Fabrizio Coniglio e Mathilde Mosnier.

«Per quanto fossi già abituata a raccontare e rivivere la mia storia, è stato molto emozionante vedersi fisicamente rappresentati da un’altra persona sul set. Il primo giorno di riprese mi sono commossa. Passata la prima scossa catartica, provocata dal ripercorrere quei momenti, le riprese sono andate bene. Gli attori mi hanno coinvolta e l’attrice che interpretava il mio personaggio, bravissima, mi ha chiesto quali emozioni provassi per permetterle di immedesimarsi al meglio e raffigurare il mio percorso. Anche se un cortometraggio non può render conto di due anni di vita, cerca senz’altro di esser fedele alla realtà.

Del periodo precedente alla malattia ho ricordi confusi e ottenebrati. L’infiammazione celebrale causata dall’encefalite provoca comportamenti strani, dovuti a insonnia, mal di testa, cefalea, febbre lieve. Durante la fase acuta, invece, ero in stato catatonico. Per due mesi e più sono stata in ospedale. Anche il risveglio è stato a tratti onirico: non sempre ero cosciente di quanto mi circondava. Immediatamente dopo è venuta la paura. Paura di non riuscire a tornare come prima, di non recuperare la memoria o le facoltà fisiche, e la frustrazione per aver perso del tempo. È doloroso non riconoscersi più e non sapere se mai si tornerà come prima. Per chi si ammala di encefalite e sopravvive, il recupero è ancora oggi molto incerto.

Subito dopo l’encefalite avevo difficoltà di vario tipo: a livello di equilibrio, di memoria, di udito. Non ero autonoma e avevo un’insufficienza fisica. Sulla soglia dei 32 anni, mi sono ritrovata ad essere come una bambina. Ho recuperato, anche grazie all’attività fisica. Prima camminando, poi correndo. Nel 2017, a due anni dalla malattia, ho corso la maratona di Londra. È stata una sfida metaforica, dalla corsia alla corsa».