Demenza frontotemporale: una malattia più rara dell’Alzheimer ma altrettanto grave

Dott. Giuseppe Di Fede (Milano): “La condizione esordisce tipicamente tra i 45 e i 65 anni e progredisce in modo subdolo, con sintomi cognitivi, comportamentali e motori”

Spesso, nel parlato comune, al termine “demenza” viene sottratta la componente semantica più marcatamente patologica, intendendo che quanti sono affetti da questa condizione sperimentino semplicemente una sorta di blando annebbiamento delle facoltà mentali. In realtà, non è così: le patologie che rientrano nell’insieme delle demenze – di cui fanno parte anche le malattie di Huntington e di Alzheimer – comportano un’ingravescente compromissione delle facoltà nervose superiori che rende i malati incapaci di provvedere alle necessità di ogni giorno. Un valido esempio è rappresentato dalla demenza frontotemporale (FTD), la condizione che ha colpito il noto attore Bruce Willis.

Secondo i dati di un recente studio epidemiologico condotto dal consorzio FRONTIERS in 13 centri europei di eccellenza nella ricerca neurologica – e presentato nel corso di un recente workshop internazionale promosso dal Centro per le Malattie Neurodegenerative e l’Invecchiamento Cerebrale dell’Università di Bari e dell’Ospedale “G. Panico” di Tricase, dal Tecnopolo-Puglia per la Medicina di Precisione e dall’Università degli Studi di Brescia – sono circa 12mila i casi di demenza frontotemporale in Europa ogni anno, con un’incidenza della malattia che è maggiore negli uomini (2,8 casi su 100.000 persone all’anno) rispetto alle donne (1,9 casi su 100.000 persone all’anno).

Per comprendere meglio la portata di una malattia neurodegenerativa come la FTD ci siamo rivolti al dott. Giuseppe Di Fede, Responsabile del Laboratorio di Genetica e Biochimica delle Demenze, Struttura Complessa di Neurologia-5 e Neuropatologia, Istituto Besta di Milano. “Dopo la malattia di Alzheimer e la demenza a corpi di Lewy, la demenza frontotemporale rappresenta la terza forma di demenza neurodegenerativa più diffusa”, spiega Di Fede. “Può arrivare a rappresentare fino al 10% di tutte le demenze. In più del 70% dei casi, la FTD esordisce al di sotto dei 65 anni, proprio perché interessa principalmente le persone con età compresa tra i 45 e i 65 anni [oltre i 70 anni l’Alzheimer rimane la demenza più diffusa, N.d.R.]”.

I SINTOMI

Le manifestazioni con cui la demenza frontotemporale può presentarsi vengono classificate in 3 categorie: sintomi cognitivi, comportamentali e motori. “Nella sfera dei disturbi cognitivi le alterazioni del linguaggio sono le più rappresentate”, prosegue il neurologo milanese. “Tra di esse c’è l’afasia, con cui la FTD ha avuto esordio nel caso di Bruce Willis. In una prima fase, chi ne soffre ha difficoltà ad esprimersi e non trova le parole giuste per farsi capire. Gradualmente, la compromissione del linguaggio procede sino a ridurre la comunicazione a poche incomprensibili sillabe. I pazienti smarriscono la capacità di organizzare le parole all’interno delle frasi e incorrono in problemi di comprensione del linguaggio verbale e scritto”.

“Per quanto riguarda le alterazioni del comportamento, i pazienti con FTD possono mostrare apatia, disinteresse, distacco emotivo, mancanza di iniziativa, svogliatezza e depressione”, prosegue Di Fede. “Oppure possono manifestare iperattività, irritabilità e aggressività. In alcuni casi, queste due serie opposte di sintomi possono addirittura associarsi”. Spesso si osservano anche alterazioni del comportamento alimentare, con la tendenza ad assumere cibo in maniera disordinata, indipendentemente dal senso di fame. Con il progredire della patologia, poi, insorgono problematiche di trascuratezza personale e scomparsa dei freni inibitori, che rendono il comportamento del malato non adeguato al contesto sociale.

“Le alterazioni della sfera motoria, invece, includono maggiore rigidità, lentezza, impaccio nei movimenti e difficoltà nella manipolazione degli oggetti, come accade negli individui affetti da malattia di Parkinson”, precisa Di Fede. “Inoltre, nelle forme di FTD che si associano alla sclerosi laterale amiotrofica (SLA) possono presentarsi sintomi come debolezza, dimagrimento e fascicolazioni muscolari [contrazioni spontanee e rapide di gruppi di fibre muscolari, N.d.R.]”.

LE CAUSE

La possibile associazione di demenza frontotemporale e SLA trova ragione nel coinvolgimento di alcuni geni (tra cui il gene C9orf72) correlati a entrambe le malattie, sebbene nella maggior parte dei casi la FTD si presenti in forma sporadica, ossia in apparente assenza di qualsiasi causa ambientale o ereditaria. “In circa il 35-40% dei pazienti affetti da demenza frontotemporale la malattia risulta essere presente anche in altri membri della famiglia, ma va detto che solo nel 10-15% di questi casi si riesce ad accertare la reale causa genetica della condizione”, prosegue il neurologo milanese. “Oltre a C9orf72, i principali geni coinvolti sono GRN, che codifica per la granulina, TAU, che codifica per l’omonima proteina. Le persone con mutazioni nel gene C9orf72 possono sviluppare una forma di SLA o di FTD, oppure una combinazione delle due patologie, con una sovrapposizione di sintomi cognitivo-comportamentali e motori”.

Che si presenti in forma genetica o sporadica, la demenza frontotemporale presenta comunque tre principali quadri neuropatologici, dovuti all’accumulo nel cervello di differenti proteine. “L’accumulo di proteina Tau è più frequentemente associato a disturbi della sfera cognitiva e comportamentale che si accompagnano ad alterazioni motorie simil-parkinsoniane”, afferma l’esperto. “Invece, l’accumulo di proteina TDP-43 è associato ad alterazioni del linguaggio e psico-comportamentali e ad alcuni quadri clinici che comprendono sia la FTD che la SLA. Infine, in alcuni casi si è osservato un accumulo di proteina FUS che può dar luogo a FTD di tipo comportamentale o ad associazione FTD/SLA. Si tratta, dunque, di una malattia molto composita ed eterogenea, anche sul piano neuropatologico, tanto che il termine oggi utilizzato per descriverla, sulla base delle tante alterazioni riscontrabili nel cervello di chi ne è affetto, è degenerazione lobare frontotemporale (FTLD)”.

LA DIAGNOSI

Definire in maniera netta i confini tra una patologia e l’altra è il compito più difficile per un neurologo e ha inizio con un’accurata anamnesi della storia del paziente. “Frequentemente, i pazienti con disturbi della sfera psico-comportamentale giungono prima dallo psichiatra e solo più tardi dal neurologo, per cui possono prodursi ritardi nell’inquadramento di una malattia come la FTD”, spiega Di Fede. “L’iter diagnostico prevede che il paziente si sottoponga a test cognitivi, dal momento che una valutazione neuropsicologica approfondita permette di acclarare dei segni di disfunzione cognitiva e di orientarsi tra le diverse forme di demenza. Tra gli esami strumentali di supporto rientrano la TAC, la risonanza magnetica [che permette di individuare le aree di atrofia a livello dei lobi frontali e temporali, N.d.R.] e, soprattutto, la PET/CT cerebrale con un radiofarmaco, il fluorodesossiglucosio, utile a valutare il possibile rallentamento del metabolismo cerebrale nelle aree dell’encefalo colpite dalla malattia”.

Nelle forme di demenza frontotemporale che presentano una sovrapposizione clinica con la malattia di Alzheimer è utile effettuare un dosaggio dei biomarcatori presenti nel liquido cefalo-rachidiano: dato che per l’Alzheimer esistono marcatori specifici, questo esame è dirimente per distinguere le due patologie. Infine, nei casi di demenza con familiarità risulta fondamentale il test genetico, in grado di identificare mutazioni associate alle singole malattie.

IL TRATTAMENTO

Purtroppo, ad oggi non esiste alcun trattamento in grado di arrestare il decorso della demenza frontotemporale: gli unici ausili terapeutici sono rivolti all’attenuazione dei sintomi. “Negli ultimi 30 anni è migliorata la capacità di diagnosticare la malattia e di distinguerla da altre forme di demenza, ma non sono stati individuati farmaci in grado di incidere sulle cause che la scatenano”, conferma Di Fede. “Tuttavia, diversi studi clinici in corso nel mondo stanno valutando nuove molecole potenzialmente utili in chiave terapeutica. Uno di quelli in fase più avanzata, denominato INFRONT-3, è attivo anche presso il nostro istituto ed è rivolto a pazienti con FTD o a persone con mutazioni nel gene GRN che non abbiano ancora sviluppato la malattia. Occorrerà attendere i risultati definitivi per capire se la molecola sperimentale possa migliorare i sintomi cognitivi e comportamentali, ma ciò che conta è che la ricerca non si dia mai per sconfitta e continui a elaborare nuove possibili soluzioni di trattamento”.

Per maggiori informazioni sullo studio clinico INFRONT-3 è possibile visitare il sito web “Sperimentazioni Cliniche”.