Telethon sarà il primo ente no profit a produrre farmaci per le malattie rare

Dal 2023 verrà realizzata la medicina che cura i “ragazzi nella bolla di plastica”. Poi ne seguiranno altre. La fondazione, sostenuta da tante persone famose, annuncia a Oggi una rivoluzione per il mercato della salute

Non per soldi ma per la vita. Quella dei malati rari che nessuno vuole curare perché non “rende” abbastanza. La sfida all’industria delle medicine è semplice quanto rivoluzionaria: per la prima volta al mondo, una fondazione produrrà farmaci senza guadagnarci un euro. Lo farà Telethon in Italia, con l’obiettivo di esportare il modello in Europa e poi, chissà, nel resto del mondo. La decisione è stata varata dal Consiglio di amministrazione presieduto da Luca Cordero di Montezemolo e l’iter burocratico avviato: nei primi mesi del 2023 sarà avviata la produzione dello Strimvelis, il farmaco sviluppato all’istituto Sr-Tiget (San Raffaele Telethon per la Terapia genica) grazie alle donazioni degli italiani per i malati di Ada-Scid (Immunodeficienza combinata grave da deficit di adenosina deaminasi). La stessa patologia del Ragazzo nella bolla di plastica interpretato nel 1976 da un giovanissimo John Travolta. «Il sistema è vecchio e ingessato», spiega Alessandro Aiuti, vicedirettore dell’Sr-Tiget e docente di Pediatria all’università Vita-Salute San Raffaele. «Vogliamo cambiarlo perché nessun malato sia mai più abbandonato».

Professore, perché avete deciso di produrre direttamente i farmaci? «Nello scorso marzo la Orchard Therapeutics, l’azienda americana titolare della licenza dello Strimvelis, ha annunciato di voler rinunciare alla sua produzione. C’era il rischio che sarebbe stato completamente abbandonato, lasciando i pazienti senza terapia. Non potevamo permetterlo. Ecco perché Telethon ha scelto di entrare in prima linea nella fase di produzione e di distribuzione del farmaco. Il Cda ha dato l’ok alla creazione di una nuova fondazione: a inizio 2023 lo Strimvelis tornerà sotto l’egida di Telethon, la sua produzione sarà affidata a un’officina farmaceutica e verrà somministrato al San Raffaele di Milano».

Esistono altri esempi al mondo di farmaci prodotti senza scopo di lucro? «No, Telethon sarà la prima al mondo. Il tema è però molto sentito anche in altri Paesi, ci sono altri centri europei che si stanno muovendo in questo senso. Stiamo cercando di creare un consorzio tra entità accademiche no profit proprio per convincere l’Unione europea a cambiare le cose».

Una rivoluzione, per l’industria del farmaco… «Il sistema non aiuta i farmaci per le malattie rare e in generale l’innovazione se non c’è interesse commerciale. Certo, si tratta di medicine molto costose da sviluppare perché i pazienti sono pochi e per ogni malattia rara bisogna sviluppare una tipologia di farmaco diversa. È molto più conveniente produrre una medicina per un problema cardiaco o per il diabete o per un’altra malattia molto comune, con migliaia o centinaia di migliaia di pazienti. Ma il valore di una terapia personalizzata è che viene somministrata una volta sola, cura alla radice la malattia e salva una vita per sempre».

Dopo lo Strimvelis, produrrete altri farmaci? «Sì. Uno potrebbe essere quello che abbiamo sviluppato per la sindrome di Wiskott-Aldrich, un’altra grave immunodeficienza genetica, che la Orchard Therapeutics non vuole più produrre. E pensare che il primo bambino che abbiamo curato nel 2010 oggi è diventato adulto».

Telethon si occupa di malattie rare dal 1990: che cosa è cambiato in questi anni? «All’inizio si faceva molta ricerca sulle malattie, sui meccanismi, sulle nuove terapie. E i farmaci sviluppati da noi e da altri istituti si stanno rivelando efficaci. Ora il problema è renderli disponibili ai pazienti. E arrivare a curare anche altre malattie rare. Ma il sistema è troppo ingessato, bisogna trovare nuove strade e nuovi modelli».

Per esempio? «Stiamo lavorando a una piattaforma che permette, una volta che si dimostra una terapia, di portare avanti gruppi di farmaci che hanno stesse proprietà e sono utilizzabili per malattie diverse. Questo potrebbe ridurre i tempi di sviluppo, abbassare i costi e far arrivare più facilmente una nuova terapia a pazienti che hanno malattie ultra-rare. È una sfida che stiamo proponendo anche alle autorità regolatorie, per migliorare la legislazione italiana ed europea senza però perdere in qualità e senza trovare scorciatoie».

Cambiando il sistema si possono anche salvare più vite? «Noi curiamo 5-6 bambini l’anno in Europa. Con l’aiuto di Telethon e di donazioni dedicate, si potrebbe ampliare questo numero rendendo disponibili le terapie anche a malati di aree del mondo che non hanno diritto al rimborso previsto nei Paesi europei. E salvare molte più vite».