Malattia di Fabry: autorizzata l’autosomministrazione di agalsidasi alfa

Il prof. Antonio Pisani (Napoli): “Le terapie domiciliari sono una rivoluzione per i pazienti”. Barbara Capaccetti (Takeda): “Un vantaggio in termini di qualità di vita”

Via libera da parte dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) e di AIFA all’aggiornamento della scheda tecnica di agalsidasi alfa (nome commerciale Replagal), terapia enzimatica sostitutiva indicata per pazienti con malattia di Fabry che, grazie a questa nuova approvazione, potrà essere autosomministrata da un paziente formato o da un caregiver, a domicilio, senza la presenza di personale medico.

La malattia di Fabry è una rara patologia da deposito lisosomiale, multisistemica, multiorgano, progressiva ed ereditaria. È caratterizzata da specifici segni neurologici, cutanei, renali, cardiovascolari e cerebrovascolari, e ha un forte impatto sulla qualità di vita di pazienti e caregiver. “Tuttavia, la disponibilità dei trattamenti enzimatici sostitutivi, le terapie domiciliari e la possibilità della nuova autosomministrazione hanno modificato la storia del trattamento e l’aspettativa di vita dei pazienti”, ha spiegato Antonio Pisani, professore di Nefrologia all’Università degli Studi Federico II di Napoli, in un’intervista ad Adnkronos Salute.

“Si tratta di una malattia cronica, dovuta alla carenza di un enzima, che coinvolge le funzioni di vari organi con tutte le conseguenze che ciò comporta, e che necessita di trattamenti per lunghissimi periodi. Per queste ragioni, la possibilità di arrivare al trattamento in modo facilitato è sicuramente un vantaggio. È recente la disponibilità dell’autosomministrazione per la formulazione alfa, che si va ad aggiungere alla possibilità della somministrazione domiciliare mediante provider”, prosegue Pisani. “Entrambe le opzioni, sebbene l’autosomministrazione abbia delle limitazioni perché è indicata solo per specifici pazienti, confermano la tollerabilità di questi trattamenti. Inoltre, si possono eseguire lontano dagli ospedali e questo consente al paziente di sentirsi più libero dal peso di un trattamento che comunque resta a lungo periodo”.

Per il nefrologo, “la terapia domiciliare e la possibilità dell’autosomministrazione, oltre a cambiare la storia del trattamento a lungo tempo di questi pazienti, e a ‘pesare’ meno su chi li assiste, rappresentano un vantaggio per il Servizio Sanitario Nazionale. Va ricordato che le persone affette da malattia di Fabry in passato erano costrette a recarsi in ospedale ogni due settimane per ricevere il trattamento”.

Un vantaggio per il paziente in termini di qualità di vita, ma anche per il caregiver”, ha affermato Barbara Capaccetti, Medical & Regulatory Director di Takeda Italia. “Un risparmio di risorse in termini anche di tempo per accedere alle strutture e ricevere la somministrazione, ma anche per il paziente che può sentirsi un po’ meno malato. Si tratta di un aggiornamento importante che si basa sul profilo di tollerabilità e maneggevolezza di agalsidasi alfa e una modalità in più di accesso al trattamento oltre a quelle già esistenti, cioè ospedaliera o domiciliare assistita. La decisione di passare all’autosomministrazione, comunque, deve essere valutata dal medico curante previa formazione del paziente o di chi lo assiste. Un altro aspetto da non sottovalutare è che questo aggiornamento consente anche un vantaggio in termini di un minor rischio di esposizione alle infezioni”, evidenzia il direttore medico di Takeda. “Abbiamo imparato dalla pandemia quanto garantire di avere una terapia domiciliare possa abbattere il rischio di un contagio e sappiamo quanto sia importante per questi pazienti garantire una continuità terapeutica”.

A testimonianza dell’innovazione e dell’attenzione della società biofarmaceutica nello sviluppare terapie che possano fare la differenza per i pazienti, c’è un dato: “Un terzo della nostra pipeline ha ricevuto lo stato di breakthrough designation”, sottolinea Capaccetti nell’intervista ad Adnkronos Salute. Del resto, “l’impegno in ricerca e sviluppo si traduce in un impegno di oltre 5 miliardi di dollari l’anno con un incremento degli investimenti, in quest’ultimo anno, di circa il 10%. Guardando al futuro, l’obiettivo per i prossimi 3-5 anni è di investire il 70% del portfolio nelle malattie rare. Sappiamo quanto le malattie rare, in particolare quelle da accumulo lisosomiale, se non adeguatamente diagnosticate e trattate, possono evolvere rapidamente a condizioni gravi e invalidanti, fino al decesso del paziente”.

L’impegno dell’Azienda è su più fronti. “Prima di tutto, aumentare l’awareness con programmi di formazione del personale sanitario per avere una corretta diagnosi in tempi brevi. Il ritardo diagnostico va da 4 a 7 anni ed è dovuto a una serie di fattori: la scarsa informazione, la numerosità e la complessità delle malattie rare non aiutano”, aggiunge Capaccetti. “Takeda, inoltre, supporta programmi di screening attraverso test diagnostici rapidi e semplici che consentono la presa in carico del paziente in modo tempestivo, accanto a programmi di supporto del paziente, offerti tramite partner qualificati, che contribuiscono a garantire la continuità terapeutica e assistenziale”.

“Non esistono le malattie, ma i malati”, conclude il direttore medico di Takeda. “È proprio così. Attraverso programmi di supporto, possiamo fornire un servizio cercando di rispondere a quelle che sono le esigenze specifiche del paziente: da programmi di supporto psicologico a percorsi fisioterapici o training, fino alla terapia domiciliare”.