Epilessia, per la Giornata della Famiglia LICE accende i riflettori sui caregiver

In Italia sono 3 milioni le persone che si prendono cura di familiari malati, ma manca ancora una legge nazionale che riconosca il loro ruolo

Roma – Il 15 maggio è la Giornata Internazionale della Famiglia: istituita nel 1993 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, viene celebrata ogni anno per diffondere una maggiore consapevolezza sui processi sociali, economici e demografici che coinvolgono le famiglie nel mondo. In questa occasione la LICE, Lega Italiana Contro l’Epilessia, accende i riflettori su tutte le mamme, papà, fratelli e parenti che si prendono cura ogni giorno di una persona che soffre, ricordando che la famiglia rappresenta il caregiver più prezioso, e a volte insostituibile, per le persone con epilessia.

In Italia sono più di 3 milioni i caregiver che si prendono cura di familiari non autosufficienti o con patologie croniche invalidanti. Nel 9,4% dei casi sono donne tra 18 e 64 anni. Circa 650mila persone si occupano contemporaneamente sia di figli minori di 15 anni, sia di altri familiari malati o disabili di 15 anni e più, o di anziani: l’1,9% delle donne tra 18-64 anni e il 3% della popolazione nella fascia di età 35-54 anni (Fonte: Istat 2018).

La famiglia ha un ruolo fondamentale nella cura e nell’accudimento di un figlio o familiare con epilessia”, evidenzia Laura Tassi, Presidente LICE e neurologo presso la Chirurgia dell’Epilessia e del Parkinson del Niguarda (Milano). “Nonostante il paziente abbia la possibilità nella maggior parte dei casi di condurre una vita normale, il contesto sociale in cui vive e si confronta spesso è avvolto da pregiudizi sulla malattia e risulta complesso e controproducente rivelare agli altri la propria malattia. Senza sottovalutare poi, l’impatto che può avere un elevato carico assistenziale a cui sono sottoposti i caregiver e lo stress che ne consegue, ripercuotendosi negativamente sulla loro salute e qualità di vita”.

La nostra è una vita in equilibrio – raccontano Gabriella e Silvio, genitori di Clara, 14 anni – con una grande incertezza sul futuro e una imprevedibilità nel presente. A volte ci sentiamo soli nelle difficoltà e nella responsabilità. Clara, con un ritardo cognitivo medio e un’epilessia farmacoresistente, non può essere mai lasciata da sola, nemmeno in bagno, soprattutto perché le crisi si associano quasi sempre ad una caduta potenzialmente molto pericolosa. Quotidianamente affrontiamo l’ignoranza intorno a noi su cosa sia l’epilessia, mentre cerchiamo di far vivere a nostra figlia una vita il più normale possibile nella sua condizione, rispettandone i bisogni, garantendole il tempo dedicato allo studio e alla socialità con i suoi compagni e coetanei”.

E se il caregiver è una figura centrale nella vita delle persone con epilessia, nonostante le tante iniziative regionali, manca ancora in Italia una legge nazionale che riconosca questo ruolo; ad oggi quello dei caregiver risulta uno degli ambiti in cui è più urgente intervenire a livello legislativo per tutelare tutte quelle persone che, almeno nella metà dei casi, hanno dovuto abbandonare il lavoro per dedicarsi all’attività di cura a tempo pieno.

“In una famiglia – aggiunge Oriano Mecarelli, Past President LICE – le donne e le mamme sono spesso le più coinvolte nella cura e sono loro che vanno sostenute, anche psicologicamente. Il caregiver purtroppo impara l’arte sul campo, spesso tra difficoltà, complessità burocratiche, con livelli di stress fisico e psicologico da non trascurare, per questo è importante che questo ruolo venga riconosciuto a livello legislativo e che l’attività di cura abbia molte più tutele e agevolazioni rispetto a quelle già esistenti nel nostro Paese”.

Quando ci si prende cura di un figlio o un familiare con epilessia, lo sguardo dei caregiver è rivolto non solo alla quotidianità del presente ma anche al futuro. “Vogliamo dare un futuro a Clara – concludono Gabriella e Silvio – sebbene la sua malattia in questi anni abbia avuto molti cambiamenti, nessuno può darci certezze su come evolverà. Stiamo pensando che sarebbe utile creare un’associazione, anche grazie all’aiuto di una rete di medici e genitori, per dare autonomia, sostegno e speranza a tutti i ragazzi che, come Clara, un giorno diventeranno adulti”.