Cinzia Pilo (Debra Italia e Fondazione REB): “Siamo contenti che le nuove terapie in arrivo siano applicabili a tutte le varianti di malattia; tutti hanno il medesimo diritto a un trattamento”
Milano – “Bambini farfalla”: così vengono definiti i piccoli pazienti affetti da epidermolisi bollosa (EB). Un nome poetico, delicato, che fa pensare a qualcosa di fragile, leggero e poco impattante. Al contrario, la EB è una delle più devastanti malattie genetiche rare oggi note. È difficile immaginare le sofferenze di chi è costretto a vivere in assenza di porzioni più o meno ampie della propria pelle, con ferite aperte che si rimarginano a fatica.
“L’epidermolisi bollosa non è solo una malattia della pelle”, sottolinea Cinzia Pilo, Presidente di Debra Italia ETS e Fondazione REB ETS, i due enti che si occupano della patologia in Italia e che fanno parte dell’Alleanza Malattie Rare. “La pelle è l’organo più grande del corpo umano e ha diverse funzioni, fra le quali quella di proteggerci dagli agenti infettivi. Ma nel caso della EB vengono colpite anche le mucose interne, e ciò rende impossibile nutrirsi: molti dei nostri bambini si alimentano tramite gastrostomia. La malattia, inoltre, ha un impatto non solo sulla qualità ma anche sull’aspettativa di vita, e può quindi essere fatale. Infatti, tra le sue conseguenze vi sono i carcinomi squamocellulari, che si presentano nella quasi totalità dei casi di EB distrofica, determinando la necessità di frequenti interventi di asportazione del tumore o amputazione degli arti sui quali si manifesta. Purtroppo, nonostante questi interventi, nel 65% dei casi gli esiti sono comunque letali entro i 25 anni di età”.
Ma c’è finalmente uno spiraglio di speranza: l’epidermolisi bollosa rientra fra le poche malattie genetiche rare che, tra le migliaia esistenti, dopo anni di attese hanno visto finalmente l’approvazione di un trattamento molto promettente. Nel giugno 2022, infatti, la Commissione Europea ha approvato il gel per uso topico Filsuvez, il primo farmaco al mondo indicato per le forme distrofica e giunzionale, che ha come principio attivo un derivato dall’estratto di corteccia di betulla.
Un trattamento che non interviene sulla causa genetica della malattia e non è dunque risolutivo, ma che ha dimostrato di accelerare la guarigione delle ferite e – come spiega Cinzia Pilo – avrebbe dunque un enorme impatto sulla vita dei pazienti. “Ogni giorno le persone con EB si devono sottoporre a lunghissime medicazioni, e il dolore che provano è simile a quello delle ustioni di terzo grado: i genitori si devono trasformare in infermieri, molto spesso uno dei due è costretto a rinunciare al lavoro. Se le ferite guariscono prima si ha maggiore autonomia, si sente meno dolore, magari si riesce a dormire, si ha meno necessità di supporto, di ospedalizzazioni e di interventi chirurgici. Una migliore rimarginazione delle ferite avrebbe delle ricadute positive anche a livello sociale, perché l’EB è una malattia molto visibile e genera spesso isolamento ed emarginazione per l’aspetto del corpo o per la paura (immotivata) di un contagio”.
Dopo aver dimostrato la sua efficacia nel corso della più ampia sperimentazione globale mai condotta nell’EB (223 pazienti, dei quali 156 pediatrici), Filsuvez è ora in attesa di approvazione anche in Italia. In questo caso, la Fondazione REB potrebbe avere un ruolo anche della sorveglianza post-marketing: è infatti l’unico ente che mantiene nel nostro Paese un registro della malattia, il quale custodisce i dati forniti dai principali centri ospedalieri che si occupano della patologia.
A livello europeo il farmaco è indicato per i pazienti affetti dalla forma distrofica e giunzionale a partire dai 6 mesi di età. La forma distrofica è dovuta al danneggiamento o all’assenza delle fibrille di ancoraggio, sorta di ‘uncini’ di collagene presenti nelle giunzioni dermo-epidermiche. In questa variante, la formazione di bolle è generalizzata e costante e lascia cicatrici. La forma giunzionale, tuttavia, pur manifestandosi solo in circa il 10% dei casi, può essere letale fin dalla prima infanzia. C’è infine la forma simplex: in genere è la meno grave, perché la formazione di bolle è ristretta a mani e piedi.
La realtà vissuta dai pazienti, però, è un po’ più complessa. “Il fenotipo della malattia è molto soggettivo: a volte, a livello estetico e di impatto sulla qualità della vita, le due forme non sono distinguibili, e in alcuni casi la forma giunzionale può essere anche più debilitante della distrofica, con erosioni cutanee diffuse e conseguenti deformità, coinvolgimento della mucosa orale e dei denti, perdita dei capelli, delle unghie e della capacità di deambulare autonomamente”, prosegue Cinzia Pilo. “Inoltre, diverse terapie sono attualmente in fase di sperimentazione solo per la distrofica: perciò siamo soddisfatti che ora esista una terapia anche per la forma giunzionale, per evitare che questi bambini vengano ulteriormente discriminati e restino orfani di un trattamento”.